La pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione III, 20 ottobre 2025, n. 8092, si colloca nel solco dell’ampio contenzioso riguardante la verifica dell’anomalia delle offerte negli appalti di servizi. Il caso trae origine dalla gara per l’affidamento dei servizi di pulizia e sanificazione per gli enti del Servizio sanitario nazionale (Lotto 2 – Regione Umbria), indetta da C. s.p.a., all’esito della quale l’aggiudicazione veniva disposta in favore di D.S. s.r.l. e del RTI S.I.–G.S.I.
La terza classificata, R.G. s.r.l., impugnava il risultato della procedura, contestando la congruità delle offerte aggiudicatarie e la regolarità delle valutazioni tecniche. Il TAR Lazio respingeva il ricorso e la società appellava la sentenza. Il Consiglio di Stato, tuttavia, conferma integralmente la decisione di primo grado.
Il Collegio apre la motivazione riaffermando un principio cardine: la valutazione di anomalia dell’offerta è connotata da ampia discrezionalità tecnica e il giudice può sindacarla solo sotto i profili di logicità, ragionevolezza e adeguatezza dell’istruttoria.
La verifica non può mai risolversi in un’autonoma ricostruzione dei costi o in una rivalutazione analitica delle singole voci di prezzo, dovendo restare globale e sintetica. Tale impostazione appare particolarmente rilevante ove, come nel caso di specie, l’appalto sia inserito in un accordo quadro, istituto che introduce un fisiologico margine di aleatorietà: i concorrenti conoscono la misura massima delle prestazioni, non quella effettiva, variabile a seconda degli ordinativi delle amministrazioni aderenti.
Questo punto rappresenta la chiave interpretativa dell’intera decisione: se l’accordo quadro non consente una predeterminazione certosina dei fabbisogni, non può pretendersi che la valutazione dell’anomalia si fondi su parametri quantitativi rigidi. Secondo l’appellante, D. avrebbe marginalizzato le attività meno remunerative per aumentare artificialmente gli utili. Il Consiglio di Stato respinge la censura, evidenziando che la lex specialis non stabiliva alcuna diversa incidenza economica tra le varie tipologie di attività. Il ragionamento dell’appellante — fondato sulla presunta correlazione tra quantità stimate e redditività — è considerato puramente ipotetico e non suffragato da elementi oggettivi. R. contestava l’uso da parte delle aggiudicatarie di rese “estremamente elevate”, discostanti dal resario AFIDAMP. Il Collegio ribadisce che tale resario ha natura non vincolante, né ufficiale: è uno strumento di riferimento settoriale, non un parametro cogente. È legittimo, quindi, che un operatore utilizzi rese aziendali, espressione del proprio know-how. Inoltre, la stessa R. si era discostata dal resario, applicando rese equivalenti e incrementi, con conseguente violazione del principio nemo potest venire contra factum proprium. Ciò rafforza l’infondatezza della censura.
La ricorrente sosteneva che le rese elevate avessero condotto a una sottostima della manodopera. Il Consiglio di Stato osserva che:
i costi dichiarati da D. e dal RTI S. erano superiori a quelli indicati dalla stazione appaltante;
la ricorrente non aveva impugnato la lex specialis che forniva tali valori di riferimento.
Ne deriva l’inammissibilità oltre che l’infondatezza della censura. È interessante notare come il Collegio valuti anche la coerenza interna delle argomentazioni della ricorrente: R. aveva indicato un costo della manodopera addirittura inferiore a quello che poi ha qualificato come incongruo, evidenziando una contraddizione logico-giuridica.
Il Consiglio di Stato chiarisce che quasi tutte tali attività erano già ricomprese tra quelle di base, con frequenze obbligatorie previste dal capitolato. D. aveva inoltre illustrato margini di risparmio tali da consentire la copertura anche delle attività remunerate “a punto”.
La mancata quantificazione puntuale non incide dunque sull’equilibrio complessivo dell’offerta.
R. contestava che D. avesse indicato come Gestore del servizio un profilo non adeguato, anche in termini di livello contrattuale. Il Collegio precisa che l’art. 4 del capitolato non prevede alcun vincolo di inquadramento, richiedendo soltanto competenze, esperienza e capacità decisionali.
Il Gestore non svolge attività operative e i relativi costi rientrano nella struttura di governo, non nella manodopera. Di conseguenza, la censura risulta infondata.
Uno dei profili più attuali riguardava la previsione, da parte di D., dell’utilizzo di IA (tra cui ChatGPT-4) per alcune attività tecniche. R. sosteneva che tali strumenti non fossero in grado di svolgere le funzioni dichiarate.
Il Consiglio di Stato respinge la censura, osservando che:
l’appellante propone valutazioni soggettive, miranti a sostituire il giudizio tecnico della Commissione;
i punteggi tecnici non erano stati attribuiti solo per la presenza di IA, ma sulla base di una pluralità di elementi;
lo stesso concetto è confermato dal fatto che R., pur non utilizzando IA, ha ottenuto in alcuni criteri punteggi superiori a D.
L’utilizzo dell’IA, dunque, non ha avuto un ruolo determinante né distorsivo
Il Consiglio di Stato respinge l’appello e compensa le spese, confermando la legittimità dell’aggiudicazione.
La decisione ribadisce, in modo particolarmente netto, alcuni principi fondamentali:
la valutazione di anomalia è globale, sintetica e ampiamente discrezionale;
gli scostamenti da parametri settoriali non ufficiali non costituiscono ex se indici di irregolarità;
l’accordo quadro giustifica margini di incertezza che si riflettono nella costruzione delle offerte;
il giudice non può sostituirsi alla stazione appaltante in valutazioni tecniche, salvo illogicità manifeste, qui non ravvisate.
Per gli operatori economici la sentenza rappresenta un monito: contestare l’anomalia richiede elementi oggettivi, non mere presunzioni o ricostruzioni probabilistiche. Per le stazioni appaltanti, invece, il provvedimento conferma la centralità del loro ruolo valutativo, purché esercitato con motivazioni coerenti e istruttoria adeguata.
