Il «danno previdenziale» è il danno sofferto sulla propria pensione a causa di un errato inquadramento contrattuale durante la carriera lavorativa o di un mancato versamento dei contributi che si realizza al momento di andare in pensione, dunque all’epoca di maturazione dei relativi requisiti. Il lavoratore, infatti, può subire un danno patrimoniale a causa di un errato versamento dei contributi, consistente nel differenziale tra la decorrenza o l’importo della prestazione che sarebbero spettati in caso di regolarità contributiva e la decorrenza o l’importo che sono effettivamente riconosciuti in relazione alla minore contribuzione versata. A ristoro del danno subito, dunque, stante la necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, la legge prevede che per il lavoratore siano ammesse 2 distinte azioni: 1) l’ordinaria azione risarcitoria ex art. 2116 c.c.; 2) il risarcimento del danno in forma specifica, attraverso la costituzione di una rendita vitalizia ex art. 13 Legge 1338/1962 che assicuri il pagamento di una somma mensile pari al danno pensionistico subito. Il diritto del lavoratore, dunque, sorge sul duplice presupposto dell’inadempienza contributiva del datore di lavoro e della perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale od assistenziale. Secondo quanto disposto dall’art. 13, L. n. 1338/1962: “Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione, può chiedere all’INPS di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi. La corrispondente riserva matematica è devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria e al Fondo, di adeguamento, dando luogo alla attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita. La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere; in caso contrario i contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini della assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli dal presente articolo su esibizione all’INPS di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato. Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’INPS le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente”. Tale istituto, dunque, permette di riscattare i periodi lavorativi per cui non sono stati versati i contributi previdenziali, che siano caduti in prescrizione e l’interessato non sia il responsabile dei versamenti contributivi. L’omissione della contribuzione da parte del datore di lavoro, infatti, produce un duplice pregiudizio patrimoniale a carico del lavoratore, consistente: da una parte, nella perdita, totale o parziale, della prestazione pensionistica, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile; dall’altra parte, nella necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, pagando quanto occorre a costituire la rendita vitalizia di cui all’art.13, L. n. 1338/1962 che assicuri una somma mensile pari al danno subito, oppure con azione contro il datore di lavoro ex art. 2116, c..2 cod. civ., per ottenere il pagamento della riserva matematica da parte del datore stesso. In altri termini, il lavoratore può richiedere alternativamente il risarcimento del danno pensionistico oppure la costituzione di una rendita vitalizia a riparazione della diminuzione sulla pensione. Nel primo caso, il lavoratore riceve una somma- quantificata secondo il valore oggettivo della costituzione di rendita vitalizia- che rimane nella sua disponibilità, mentre nella seconda ipotesi l’azione di costituzione di rendita vitalizia è finalizzata a versare all’ INPS la quota necessaria a riparare il danno sulla pensione. La corrispondente riserva matematica dà luogo alla attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita. La disciplina della rendita vitalizia di cui all'art.13 l.n.1338/1962 è stata, poi, modificata dalla Legge 13 dicembre 2024 n.203 (c.d. Collegato Lavoro), che ha introdotto il diritto imprescrittibile del lavoratore di chiedere la costituzione della rendita vitalizia per i contributi omessi dal datore di lavoro e ormai prescritti, anche con onere a proprio carico.
Tale diritto è previsto dal “nuovo” comma 7 dell’art. 13, il quale dispone che: “Il lavoratore, decorso il termine di prescrizione per l’esercizio della facoltà di cui al primo comma e al quinto comma, fermo restando l’onere della prova previsto dal medesimo quinto comma, può chiedere all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale la costituzione della rendita vitalizia con onere interamente a proprio carico, calcolato ai sensi del sesto comma”. Dalla nuova disposizione legislativa ne consegue che la richiesta di rendita vitalizia da parte del lavoratore, in proprio, con onere interamente a proprio carico, non è più soggetta a prescrizione. La rendita integra, dunque, con effetto immediato la pensione già in essere rappresentando, dunque, un rimedio fondamentale per compensare il lavoratore del danno subito per il mancato versamento dei contributi, offrendo una “reintegrazione in forma specifica” che pone l’interessato “nella stessa situazione previdenziale in cui si troverebbe se i contributi fossero stati regolarmente versati”. La Suprema Corte con l’Ordinanza 11 settembre 2023, n. 26248, riprendendo questo consolidato orientamento, ha sancito che il lavoratore goda del rimedio risarcitorio ex art. 2116 c.c. o della facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia (ex art. 13 Legge 1338/1962) e che la rendita in discorso non costituisca una prestazione previdenziale bensì un meccanismo previsto dalla legge per rimediare all’inadempimento del datore di lavoro alla propria obbligazione contributiva e ai danni che siano derivati al lavoratore. Le disposizioni di cui sopra garantiscono il principio di automaticità delle prestazioni a favore del lavoratore, che è espressione del principio di solidarietà sociale: la ratio della normativa consiste nel consentire al lavoratore, qualora ne ricorrano i presupposti, di eliminare, attraverso la costituzione della rendita vitalizia, il detrimento pensionistico conseguente all’omesso versamento dei contributi dovuti (cfr. Cass. 2164/2021). La giurisprudenza, dunque, riconosce al lavoratore diritto all’integrità della posizione contributiva: si tratta di un bene suscettibile di lesione e tutelabile giuridicamente a prescindere dalla maturazione del diritto alle relative prestazioni previdenziali. In merito alle tutele riconosciute al lavoratore per la protezione dell’interesse alla propria posizione previdenziale la Suprema Corte ha sancito quanto segue (v. Cass. 3661/2019): 1) il lavoratore vanta un diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali come emerge dalle previsioni normative ( art. 39 legge 153/1969 e art. 4 legge 467/1978) ed alla conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa. Quest’ultima costituisce un bene suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di lavoro che lo abbia pregiudicato (v. Cass. 3661/2019); 2) allorché non trovi applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali (ex art 2116 c.c.) o il lavoratore subisca pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, egli ha diritto ad essere risarcito dal datore di lavoro (ex art. 2116 c. 2 c.c.); 3) il lavoratore può agire a tutela della posizione previdenziale nei confronti del datore di lavoro al fine di ottenerne la condanna al pagamento della contribuzione non prescritta, ma, in tal caso, deve essere chiamato in giudizio anche l’ente previdenziale in quanto unico legittimato attivo nell’obbligazione contributiva (v. Cass. 8956/2020); 4) invece, nel caso in cui il credito contributivo sia prescritto, il lavoratore può vantare una pretesa risarcitoria “una volta che si siano realizzati i requisiti per l'accesso alla prestazione previdenziale poiché tale situazione determina l'attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante” (v. Cass. 27660/2018).
Da ultimo, le Sezioni Unite della Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 22802 dell’8 agosto 2025 hanno stabilito un sistema di prescrizione “a doppio binario” per la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 L. 1338/1962, superando il precedente contrasto giurisprudenziale e la prassi dell'INPS: la prescrizione per il datore di lavoro decorre dal momento in cui i contributi si prescrivono, mentre il termine per il lavoratore inizia a decorrere solo dopo che è scaduto il termine per il datore. In tal modo ha offerto ai lavoratori una tutela estesa e stratificata, superando definitivamente la tesi dell’imprescrittibilità e introducendo una scansione temporale che distingue nettamente i diritti e i termini di azione di datore di lavoro e lavoratore, valorizzando la funzione di garanzia sociale della norma e recependo le più recenti innovazioni legislative.
